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Rigopiano, porta dei fiori per il figlio defunto: multa da 4.550€

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Alessio Feniello, padre di Stefano, una delle 29 vittime della tragedia di Rigopiano, voleva solo portare dei fiori nel luogo della morte del figlio. Ma nel farlo, ha però inavvertitamente violato un’area sottoposta a sequestro. Motivo per il quale la Procura di Pescara ha avviato un procedimento penale nei suoi confronti, accusandolo di avere violato i sigilli apposti dall’autorità giudiziaria ad un’area sottoposta a sequestro. Un reato che – da norma – potrebbe arrivare a costargli 150.000 Euro di multa, e fino a sei mesi di reclusione. E anche se la sentenza emessa dal Tribunale lo condanna soltanto a pagare una ammenda di 4.550 Euro, lui non ci sta. “Cosa posso dire”, scrive su Facebook Alessio, “Siccome mi sono recato a Rigopiano a portare dei fiori dove hanno ucciso mio figlio Stefano Feniello, introducendomi secondo loro in un’area sottoposta a sequestro, pare che questo magistrato mi faccia una proposta”. “O paghi 4.550 Euro”, afferma il padre, “O ti fai due mesi di carcere”.

La risposta ai magistrati

Ed è qui che arriva la sfida rivolta ai magistrati, lanciata dal papà di una delle vittime di quella che è la più grave tragedia causata da una slavina nella storia del nostro paese. “Io rispondo a questo magistrato che non pago un centesimo, e, se necessario, mi sconto tre mesi di carcere”.

Secondo l’uomo, ancora in attesa di poter vedere condannati gli eventuali responsabili della tragedia, “Quelli che non hanno fatto niente per salvare 29 persone a Rigopiano, stanno tutti ancora a piede libero, io invece devo pagare…”. “Se sono colpevole”, prosegue, “Io non mi tiro indietro, perchè sono un uomo, non una me..da”.

Insomma, secondo il padre della giovane vittima, piuttosto che perdere tempo con lui, le autorità farebbero bene a impegnarsi per portare a chiusura i processi avviati nei confronti dei presunti responsabili della strage.

Il processo per la strage di Rigopiano

La Procura di Pescara, titolare del procedimento, ha comunicato lo scorso 26 novembre la chiusura delle indagini sulla strage, rinviando a giudizio 24 persone e una società. Sette i reati ipotizzati dai magistrati: disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione d’atti d’ufficio e abuso in atti d’ufficio. Una lunga lista, se si considera che a questi vanno aggiunti vari reati ambientali di varia natura.


Salvini su Diciotti: “Il processo sarebbe un’invasione di campo”

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Un sondaggio ha rivelato che il 57% degli italiani pensa che Salvini non debba essere processato per il caso Diciotti. Il vicepremier leghista, ospite a Porta a Porta, ha detto la sua: “Io ero tranquillo, mi dicevo: “male non fare, paura non avere”. Tutti mi hanno detto che un processo sarebbe stato un’invasione di campo senza precedenti. Il Senato dovrà dire se l’ho fatto per interesse pubblico o per capriccio personale. E’ stato un atto politico che rifarei: ho agito da ministro. Chi ha letto le carte ha le idee chiare”.


Il sondaggio

In attesa del voto in Senato, il programma Agorà ha presentato un sondaggio riguardante il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Secondo il 57% degli italiani, il Senato dovrebbe impedire al Tribunale di Catania di procedere contro il leader della Lega, accusato di sequestro di persona. Le vittime del
reato sarebbero i 174 migranti soccorsi a bordo della nave Diciotti, sbarcati poi al porto di Catania. Secondo il restante 38%, Salvini dovrebbero essere invece sottoposto a processo.

La risposta a Berlusconi

Silvio Berlusconi, intervistato da Repubblica, si è espresso sulla vicenda: “L’esecutivo gialloverde è ormai sull’orlo del baratro. Tutto precipiterà se i pentastellati voteranno per l’autorizzazione a procedere contro Salvini, e a quel punto matureranno le condizioni per un nuovo gabinetto, presieduto dal leader leghista”. Il vicepremier, però, non ha esitato a rispondere: “Non ci sarà alcuna crisi di governo – ha replicato – quindi non mi pongo il problema. Un conto sono le scelte locali, un altro le scelte nazionali: non c’è nessun sondaggio, neanche quello più allettante, che mi possa spingere a far cadere questo governo”.

Verona, clochard bruciato in auto: nessuna condanna per i responsabili

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Nessuno andrà in carcere, almeno per il momento. Il tribunale dei minori di Mestre ha disposto un periodo di affidamento in prova per il 17enne unico imputato per l’omicidio di Ahmed Fdil, il senzatetto morto carbonizzato all’interno della sua auto la sera del 13 dicembre 2017 a Zevio, nel Veronese. Il processo è momentaneamente sospeso: il giovane continuerà a vivere nella comunità che lo ospita da molti mesi e se per tre anni dimostrerà un corretto comportamento il reato verrà dichiarato estinto. Il giovane era accusato, insieme ad un amico – un ragazzino 13enne uscito subito dal procedimento perché minore di 14 anni e dunque non imputabile – di aver dato fuoco all’auto in cui la vittima stava dormendo. Nel corso degli interrogatori i due spiegarono agli inquirenti di aver agito “per noia”.

La rabbia del nipote

“Per la Giustizia italiana la vita di mio zio vale meno di zero”. Queste le parole di Salah Fdil, nipote della vittima, a seguito della decisione del tribunale. A seguito delle sue proteste, a quanto si apprende dal Corriere del Veneto, il parente sarebbe stato invitato dal giudice ad abbandonare l’aula. “Prendiamo atto dell’ordinanza – ha aggiunto Alessandra Bocchi, legale della famiglia di Ahmed – l’accettiamo e la rispettiamo tuttavia, considerato il tipo di reato, ovvero l’omicidio volontario aggravato dalla minorata difesa, secondo noi si sarebbe potuti arrivare a sentenza”. Una decisione, quella del tribunale, cui i parenti della vittima hanno assistito impotenti: la legge non ammette nei processi con imputati minorenni la costituzione in parte civile dei familiari. Per questo nessuna richiesta di risarcimento è mai stata presentata.

La vittima

Ahmed Fdil, era di origini marocchine e aveva 64 anni. Trentacinque dei quali trascorsi lavorando come operaio in Italia. Si era ridotto a vivere come un senzatetto, facendo della sua vecchia Fiat Bravo la sua abitazione, dopo aver perso il posto di una vita. Stando alle loro stesse ammissioni, furono proprio i due minorenni quel pomeriggio di dicembre a dare fuoco ad alcuni pezzi di carta e a gettarli all’interno dell’abitacolo in cui si trovava il clochard, imprigionandolo tra le fiamme. “Davamo molto fastidio a quel signore. Lo facevamo per noia” avrebbe poi ammesso il 13enne al magistrato. “Non volevamo vendetta, ma almeno che fosse fatta Giustizia – ha concluso amaramente il legale della famiglia -. Invece il ragazzino non si è neppure scusato per ciò che ha fatto. Questa decisione ha il retrogusto dell’impunità”.